«Anche se la mia malattia reumatica è invisibile, sento i dolori tutti i giorni.»

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«Io e la mia malattia reumatica»: Nadine Rhême, 38 anni, affetta da artrite idiopatica giovanile, riferisce della sua vita quotidiana e delle particolari sfide con i reumatismi.

La mia carriera di malata reumatica iniziò con un giro sullo scivolo quando avevo otto anni. Negli ultimi 30 anni il mio corpo è stato segnato non solo dalla malattia cronica, ma anche da diversi eventi sfortunati.

Il destino mi assestò il primo colpo 30 anni fa. Al ginocchio destro, per la precisione. Avevo fatto un giro sullo scivolo e volevo alzarmi, ma il ginocchio cedette e la rotula uscì dalla sede per un momento. Me lo ricordo ancora molto bene. Il dolore fu lancinante. Per la nostra famiglia iniziò un’odissea di medico in medico e la mia cartella clinica iniziò a gonfiarsi. Oltre al mancato miglioramento del ginocchio sopraggiunsero anche i dolori alle mani. Solo tre anni dopo il primo episodio un reumatologo infantile riuscì a comprendere la causa della mia sofferenza. A undici anni venni sottoposta a un intervento per rimuovere il tessuto infiammato attorno all’articolazione del ginocchio. Per i medici non si trattava di un intervento difficile, ma si verificarono delle complicazioni. A causa della forte perdita di sangue dovetti rimanere in ospedale diversi giorni in più. Credo che la diagnosi di poliartrite giovanilesia stata comunicata ai miei genitori poco dopo l’operazione. Allora non mi interessava sapere il nome della mia malattia, volevo semplicemente che sparisse.

Mobbing a causa dei reumatismi

Per colpa sua, gli anni della scuola primaria furono un inferno. Venivo presa in giro e derisa, definita disabile e accusata di fingere. Perfino dal mio insegnante. A 14 anni iniziai a nascondere la mia malattia reumatica superando spesso i miei limiti fisici. Lo facevo perché volevo assolutamente evitare di essere presa di nuovo di mira. Lo scorso novembre, in occasione della Giornata della famiglia della Lega svizzera contro il reumatismo, ho appreso che oggi i bambini colpiti ricevono un aiuto molto maggiore. Per esempio, una ragazzina mi ha raccontato che una rappresentante della Lega contro il reumatismo e un ragazzo colpito hanno spiegato alla classe cosa significa convivere con una malattia reumatica. Alcuni bambini hanno capito meglio la situazione e ora offrono il proprio aiuto spontaneamente. Negli anni ‘90, la mia famiglia non conosceva l’organizzazione e le sue attività. Anche in seguito nessuno dei miei medici mi informò della sua esistenza. Ho scoperto su Internet la Lega svizzera contro il reumatismo solo nel 2018, quando io e mio marito stavamo decidendo a chi destinare la nostra colletta matrimoniale. Dallo scorso anno faccio parte del comitato dei malati reumatici.

Impiegata di commercio anziché dentista

Da adolescente avevo molti sogni, tra cui diventare dentista. Tuttavia, dovetti valutare realisticamente le mie riserve di energia. Nonostante non avessi sofferto di attacchi tra i 14 e i 20 anni, decisi di svolgere una formazione come impiegata di commercio invece di diventare dentista. La successiva formazione da segretaria di studio medico mi permise di lavorare comunque nel campo medico. All’età di 20 anni cominciai a soffrire sempre più spesso di forti crampi addominali. Cinque anni prima che mi venisse diagnosticato il morbo di Crohn, il destino mi assestò un colpo ancora più duro al basso ventre. Quando avevo 19 anni, la mia ginecologa riscontrò la presenza di un tumore borderline delle dimensioni della testa di un bambino. Due mesi dopo venne rimosso chirurgicamente insieme all’ovaia da cui si era sviluppato. Anche questa volta ci furono delle complicazioni e persi molto sangue. Riuscii a riprendermi quasi tre mesi dopo, proprio quando la mia malattia reumatica tornò a farsi sentire. La mia psicologa di allora mi spiegò che un evento traumatico può provocare un attacco, proprio come si era verificato nel mio caso. La stessa terapista mi aiutò anche a correggere l’immagine che avevo di me stessa. Mi era sempre stato detto che avevo dei problemi e che ero debole. A un certo punto iniziai a crederci. La mia terapista, invece, mi disse: «Sei seduta qui a raccontare le avversità che hai dovuto affrontare e, nonostante tutto, sorridi. Una persona debole per me è del tutto diversa.» Queste parole mi aiutano ancora oggi nei momenti difficili. Dovetti affrontarne diversi. Due relazioni e alcune amicizie non ressero il carico della mia malattia. Nel 2013 un’auto si schiantò contro la fiancata della mia macchina e venni portata in ospedale con una deviazione della colonna vertebrale e fenomeni di paralisi. Naturalmente, il successivo attacco reumatico non si fece attendere a lungo. In qualche modo sono sempre riuscita a rialzarmi.

La verità mi costò il posto

Già a 14 anni desideravo vivere nella zona di Friburgo. A quel tempo mi appassionai di hockey su ghiaccio e andavo regolarmente alle partite della mia squadra preferita, il Fribourg-Gottéron. Oggi vivo con mio marito e mio figlio proprio nel Canton Friburgo, a La Corbaz. Non rinuncio a cucinare per la famiglia, anche se è difficile a causa delle mie mani. Noto io stessa come il mio corpo stia cambiando, ma chi osserva dall’esterno non nota la mia malattia e i miei dolori. Alcuni mesi fa, quando in seguito a una slogatura al piede ho dovuto indossare una stecca, tutti mi hanno chiesto cosa fosse successo. Le malattie reumatiche, invece, sono invisibili e nessuno chiede come va. Io, però, non voglio dover indossare una fasciatura per rendere visibile il mio dolore. Anche perché non voglio renderlo visibile a tutti. Valuto attentamente a chi raccontare della mia malattia perché una volta la verità mi è perfino costata il posto di lavoro. Ho comunque deciso di informare la mia attuale responsabile, che fortunatamente ha reagito molto positivamente. Mi fa molto bene lavorare al 40 percento come assistente della direzione presso un piccolo birrificio friburghese. Siamo tre svizzeri tedeschi e due giorni alla settimana mi fa piacere parlare in tedesco, perché in famiglia parliamo francese.

Relazione al banco di prova

Il 3 maggio 2014 il destino colpì ancora, questa volta dritto al cuore. Questo colpo fu tutt’altro che doloroso. Durante un evento Musikantenstadel a Friburgo, mi trovai schiena contro schiena con un uomo. Lui, giocatore dilettante di hockey su ghiaccio, non era per niente appassionato di quella musica, proprio come me. In comune avevamo anche il tifo sfegatato per il Fribourg-Gottéron e la passione per i viaggi. Dopo le esperienze precedenti, misi le carte in tavola fin dall’inizio. Lionel sapeva che non sarebbe stato facile. Poté constatarlo in occasione del nostro primo viaggio in America, che terminò all’ospedale di Friburgo e mi costò quasi un piede. Una scottatura solare aveva causato una grave infezione che fu seguita da un attacco dopo l’altro. La nostra relazione fu messa alla prova, ma Lionel mi restò accanto. Anche quando gli rivelai che la possibilità di diventare genitori era molto bassa. Nell'estate del 2015 ci recammo nuovamente in America e questa volta andò tutto per il meglio. La terapia farmacologica funzionava e il destino non fece scherzi. Dopo il rientro in Svizzera mi recai, senza molte speranze, presso il centro per la fertilità di Berna per gli ultimi accertamenti. Quando il medico mi disse di sedermi, mi preparai mentalmente per l’ennesima notizia funesta. «Non so come sia potuto succedere, ma lei è incinta!» Non appena compresi ciò che il medico aveva detto iniziai a piangere dalla gioia.

Un miracolo medico

Oggi il nostro «miracolo medico» ha quasi quattro anni. Naturalmente, Léon chiede perché non posso sollevarlo con le mani come fa papà. E perché a volte mi addormento mentre gli leggo una storia. Cerco di spiegarglielo in modo comprensibile per un bambino. Gli dico anche che le pastiglie di arnica che usiamo per lui non bastano per curare la «bua» della mamma. La quotidianità con un bambino è molto faticosa dal punto di vista fisico, ma Léon mi restituisce molta energia. Quando al mattino mi guarda con occhi raggianti, a volte mi dimentico che le mie mani sono ancora quasi bloccate. Grazie a lui ho anche imparato a ricominciare ogni giorno, comunque sia andata il giorno precedente. Tutte le mattine mi alzo, mi alleno per mezz’ora sulla cyclette, svolgo esercizi di stretching e faccio una doccia calda di mezz’ora. Questo programma in genere mi aiuta a contrastare il dolore. Nelle giornate no, invece, penso intensamente che domani andrà meglio.

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